lunedì 14 novembre 2016

il mio uomo a schermo piatto (impiego di neuroni previsto: 2,5)

Una volta, tanto tempo fa, iniziando una dieta che pensavo mi avrebbe portato ad eccellenti risultati, una ragazza mi disse: "è incredibile come quello che vedi allo specchio non corrisponda alla realtà". Vale a dire che fin quando ci sei dentro (a questo corpo, a questa mente, a questo cuore) non avrai mai una visione di te veramentr adiacente alla realtà. Questo pensiero indubbiamente mi ha portata a desistere, e a non perdere i chili che avrei dovuto. Quando si parla di cuore, allora, è ancora peggio. Sono vittima, come credo lo siate tutti voi, di una sorta di standby mentale, ed è il cuore ad ordinarlo. È come se non riuscissi più a vedere la realtà. E la realtà, carissimi, è che ho iniziato una relazione con un uomo che di lì a tre settimane sarebbe andato a vivere dall'altra parte del mondo. Ora, il discorso è che quello che provo col cuore non corrisponde, a volte, con quello che la mia mente elabora. Il cuore mi dice che questi mesi passeranno in fretta e che reggeremo a qualunque minaccia esterna, sia il tempo, altri cuori, la distanza. La mente, superstite monca di esperienze pregresse, mi dice che la realtà è ben diversa. Concepire l'inizio di una storia come la migliore storia possibile, e ritrovarsi poi solo tre mesi dopo a ricucire strappi che sembrano talvolta irreparabili. Eppure la trama è la stessa - e che trama, io Penelope, lui Ulisse -, e mi stupisco di come possa andare. Cucio, talvolta annoiata, credendo che il risultato finale sarà una maglia per tutte le stagioni a venire. Mollo ago e filo, in taluni momenti, cosciente che questa relazione è a rischio praticamente già prima di esser nata. Il mio cuore trema, la mia mente sa ragionare. Persino il mio corpo manda impulsi magnetici, mi dice prendi un aereo e raggiungilo, mi dice che ha voglia delle sue carezze. Il telefono sembra un'appendice del mio corpo, il mio fidanzato a schermo piatto, l'unica fonte per non desistere. Ha pulsanti di accensione e a volte ha occhi, pure. Ha una voce che è la sua, solo a volte un po' meccanica. Vibra, come se fosse un sentimento nel cuore. E dunque la mente sa che il mio uomo non è tascabile, non squilla e non si scarica sul più bello, ma il mio cuore fatica a concepirlo.

Driiiiin driiiiin

Mi bacia così, e io impazzisco.

sabato 17 settembre 2016

Maritozzo alla panna (impiego di neuroni previsto 2)

"Ebbene sì, signori e signore, è successo".

Adelaide si sveglia nel pieno di un monologo teatrale: la donna, in evidente stato confusionale, descrive alla platea il suo nuovo sentimento, così entusiasmante, così caldo e così difficile da provare. Si sveglia proprio sul più bello, mentre le voci del pubblico pagante si interpellano sul finale. Fa pipì, Adelaide, è una di quelle urgenze della mattina assolutamente da soddisfare, prima che le sue mutandine non più per infanti (altro che, eh) rimpiangano il pannolino e le premure di sua madre. Prova una sensazione strana, simile a quella di un addio, e un po' si stupisce delle sue malinconie improvvise. Si stupisce di ricominciare a provare, nella maniera più pulita che conosca, emozioni così forti, così oneste, così meravigliosamente patetiche. Si stupisce di aver pensato che uno sguardo bastasse a stravolgere la sua vita. Si sorprende di aver dato baci così generosi, pensando "eccomi, sono tua. Eccoti, sei tutto quello di cui ho bisogno". E niente, fa colazione, yogurt e cereali, ricordando colazioni fatte di baci e premure. Ripensa al monologo teatrale e un po' si intimidisce: non ha potuto ascoltarne il finale. Lo avrebbe domandato, se davvero fosse stata in quella platea, con gli occhi bassi e quella timidezza che è necessaria in certe occasioni, avrebbe chiesto: "ei, signora dai capelli neri, come si resiste a certi occhi?", avrebbe detto "ei, signora un po' confusa, come si definisce quello che prova?". Ma Adelaide non è in quella platea, tutt'altro. Vede dalla sua finestra appena socchiusa scorci periferici di Roma, si tocca le labbra, pensa alle sue, e si stupisce, dio se si stupisce, di quello che prova. Immagina rotte da seguire e storie oltreoceano da raggiungere. Eh già, perché quegli occhi vivono solo dall'altra parte del mondo. E cosa sarà mai il mondo, quando per una vita, in tutto il mondo, non ha incrociato mai occhi vispi e belli come i suoi? Cosa sarà mai l'incertezza di un finale, quando di incertezze Adelaide vive? Si pettina i capelli, potrebbe farlo per ore, ed ascolta a tutto volume canzoni di altri tempi. È libera, Adelaide, e nello stesso tempo si sente sotto osservazione, come quella donna a teatro. Libera di sceglire di provare, per una volta almeno, un sentimento così pulito. In gabbia, talvolta, una gabbia che si chiama "distanza". All'imbrunire, Adelaide si addormenta sui ricordi. Si sveglia ancora una volta sul più bello, quando l'attrice confusa che così tanto le somiglia si interrompe e chiede: "Adelaide, come si resiste a certi occhi? Adelaide, come si definisce quello che prova?". Tocca a lei dirlo. Tocca a lei saperlo.

"Ebbene, signori e signore, è successo: in un angolo di Roma, in una notte di Settembre, il suo addio è stato il nostro inizio. (...) Di favole a lieto fine e un sentimento così bello che a raccontarlo, signori e signore, vale solo la metà".

E dorme Adelaide, aspettando il suo ritorno, in questa meravigliosa sorniona città.



(Va be', sogna poi parcogiochi e caramelle. Sogna i suoi sogni da bambina, liquirizia, palloncini, marmellate all'arancia e aquiloni. Poi sul più bello, quasi a sminuire tutto ciò che ha appena fatto e detto, ehm, sogna il suo amante, il suo amore di sempre, goloso e attraente. Brama, sogna, osanna,



il MARITOZZO ALLA PANNA.


E al risveglio, signore e signori, se lo magna).





venerdì 12 agosto 2016

Non soffro di insonnia (impiego di neuroni previsto 2)

Io non ho mai sofferto di insonnia, e questo è un fatto. Ho scritto molto di notte, ma non perché insonne, solo perché di notte non mi vede nessuno. Io, che mi chiamo Adelaide, e tra pochi mesi compio 29 anni, sono sempre stata una brava bambina, poi una brava ragazza, ora una brava donnina. Non ho particolari colpe da rimproverarmi, e nemmeno grandi meriti da riconoscermi. Ci sono, esisto, ed esisto discretamente. Ho letto molto nella vita, leggo ancora, scrivo altrettanto. E non ho mai pensato che ci fosse al mondo qualcosa di più bello. Un giorno di molti anni fa, alle giostre, sentii un padre che diceva sotto voce ad una madre: l'unica cosa che mi auguro è che mio figlio abbia una passione. Io ho una passione, e so, in qualche modo, che mio padre ne sarebbe felice. Ne ho più di una: i libri, sì, e la scrittura, pure; ma le macchine fotografiche, i rollerblade, la cucina, gli orologi da taschino, la poesia, la campagna, il profumo di mia madre. I sorrisi. Mi piacciono le persone a loro volta appassionate, mi piacciono l'inverno, le mani, la musica alta in macchina. Mi piace il cioccolato, il vino, la liquirizia. L'ultima sigaretta risale a quasi quattro mesi fa, ma resta una passione. Ora ho tutto questo, ancora, qui davanti. Non ho più malattie "croniche", questo mi consola. Ma non ho avuto passioni per molti giorni: una bolla di tempo sospesa nel mondo - lo stare al mondo per ritornarci, un giorno, davvero - , uno spazio ignorato, una lotta invisibile, la mia. Sono stata ricoverata per un lunghissimointerminabile mese e mezzo per una malattia che si crede rara e che nonostante questo ha colpito proprio me, la brava donnina con tante passioni e i sonni tranquilli. Sto affrontando una cura che dovrebbe portarmi alla guarigione assoluta, ma che per il momento non porta che effetti collaterali. Sono felice, nel frattempo, di vedere il mondo. Sorrido, ora, di questa macchina irrefrenabile che è questa città. Sorrido del mio metro e sessantatre, dei miei chili in più, della mia singletudine, della mia eterna attesa di qualcosa di migliore, sorrido anche di tutto il peggiore. 


Sorrido, poco mi importa. 
Io sorrido e non soffro di insonnia.





mercoledì 27 aprile 2016

120 km/h (impiego di neuroni previsto: 3)

Adelaide si raccoglie i capelli, guardandosi bene da occhi indiscreti. Non li lega mai, li tiene sciolti e  li pettina due volte al giorno almeno, velocemente ma amorevolmente. Si raccoglie i capelli perché sta per inalare vapori di spezie fino ad oggi sconosciute: da un po' di mesi a questa parte soffre di un mal di gola cronico che le sta lentamente cambiando la vita. Lavora in biblioteca da sei mesi, e purtroppo solo per altri sei mesi. Vive tra i libri, lei che ama l'inchiostro e l'odore della carta, lavora tra la letteratura, proprio lei che lo aveva sempre e solo sognato. Non solo per il fatto di poter disporre, in qualsiasi momento, di qualsiasi scritto (o quasi). Non solo per il fatto di condividere con chiunque spazi inimmaginati e lingue sconosciute. Non già perché dà sfogo alla sua insaziabile curiosità. In biblioteca vige un ordine rigidissimo, e al di là di quell'ordine vive un grande caos: milioni di storie, delle più disparate, prendono vita, si intrecciano, si librano, invisibili, in quello spazio fisico che, di veramente fisico, ha solo i libri. Lì, e solo lì, non solo quelle storie sono di tutti, di qualunque classe sociale e etnia, ma raccontano qualsiasi evento. Solo in biblioteca tutto può accadere e tutto, in un modo o nell'altro, avviene. Così, in questo periodo di grande stress psicofisico, Adelaide ha una casa, un rifugio, un approdo, dove poter godere di tutto quello che nella sua vita non sta accadendo, regalarne una parte ad altri, mettere la propria cultura al servizio di tutti. Ecco, in un mondo così, se solo esistesse davvero, Adelaide vivrebbe bene con qualunque patologia cronicizzata. È il resto, l'intorno, questo caos di gente arrabbiata e frettolosa che la mattina esce di casa con l'ascia in mano e prende tutti i mezzi di trasporto che prende Adelaide, è questo, quello che non va. E vorrebbe dirlo a tutti, Adelaide, di approfittare di quel viaggio insieme per raccontarsi e raccontare vite, aneddoti, per raccontare un libro letto, una poesia ancora da scartare, un film di altri tempi. La città corre e Adelaide vive a 120 km/h, in una fretta che non le somiglia, dietro finestrini sporchi di troppo smog, in viaggio, ogni mattina per un'ora e mezza, con persone che non sanno che, oltre quella metro e quella città in fermento, esistono luoghi dove il tempo, la fretta e lo spazio davvero non esistono. Luoghi di carta, in mezzo a palazzi di cemento armato. Edifici spesso anonimi, con all'interno mondi e parole del tutto inaspettati. Castelli in pieno centro e favole verosimili, una vita a 2 km/h capace di vivere tutte le vite possibili, in tutti i modi possibili. E impossibili.

(Adelaide sa che tutto questo finirà. Si guarda intorno, soddisfatta, mentre prende l'autobus per andare al lavoro. Sa già che avrà gomiti in faccia e scippatori improvvisati da evitare. Sa tutto, ma si consola pensando alla meta. E sale, e viaggia schiacciata sulla portiera del bus, ma la sua mente è già al prossimo libro, alla prossima avventura, alla prossima vita a 2 km all'ora).

martedì 5 gennaio 2016

Manuale emotivo (impiego di neuroni previsto: 0,2)

Manuale emotivo. Capitolo I.
Se lo lasci andare, lui tornerà. Trattalo con sufficienza, dimentica di chiamarlo, vivi la tua vita come se lui non fosse che un di più, completamente assente dalla tua fittissima agenda. Si sentirà trascurato e tornerà. BALLE.
Manuale emotivo. Capitolo II.
Occupati della tua vita, cura la tua persona, coltiva i tuoi interessi, sii appagata e felice da sola. Gli uomini adorano le donne intrapendenti e indipendenti, e da loro ritornano. BALLE.
Manuale emotivo. Capitolo III.
Non essere invadente, concedigli tutti i suoi spazi, in questo modo non si sentirà in gabbia e vedrà in te un luogo in cui trovare serenità. BALLE.
Manuale emotivo. Capitolo IV.
Se durante il sesso ti dice esattamente quello che vuoi sentirti dire forse è proprio l'uomo giusto per te. BALLE.
Manuale emotivo. Capitolo V.
Se dopo il sesso ti coccola e ti bacia come se fossi la donna più bella e dolce del mondo forse per lui non sei solo sesso. BALLE.
Manuale emotivo. Capitolo VI.
Se il giorno dopo non rompe il silenzio nemmeno sotto tortura, è un timido, probabilmente già innamorato di te, che ha paura di una batosta. BALLISSIME.

Se lo lasci andare, il passerotto vola. Se pensi esclusivamente alla tua persona, nessun uomo crederà alla balla che potrai prenderti cura di lui come faceva la sua mammina. Se gli concedi tutti i suoi spazi, semplicemente lui se li prenderà e ci sguazzerà dentro. Se durante il sesso ti dice quello che vuoi sentirti dire è solo perché sa che vuoi sentirtelo dire. Se dopo il sesso ti coccola è per assicurarsi una prossima volta. Se il giorno dopo non rompe il silenzio, non è timido, non vive in un bunker, non ha perso improvvisamente il dono della parola. Semplicemente non ti fila. Semplicemente tu sei solo sesso. Semplicemente, mentre tu sei a casa sul tuo letto avviando una serie sconfinata di elucubrazioni mentali dal dubbio carattere scientifico, lui sta giocando a FIFA con il suo amico immaginario, in mutande, con una birra sul tavolo e con quell'espressione facciale che, se lo vedessi, non esiteresti a dimenticarlo.

Perché una storia di sesso resta una storia di sesso, anche dopo anni, soprattutto dopo anni. Perché se ci fosse qualcos'altro si sarebbe rivelato, condannandoti e condannandolo a non poterne fare a meno. No, bambina consenziente, sei solo sesso. La scelta è tua: accontentarti di ciò che hai, o perdere tutto per avere di meglio.

Adelaide sorseggia un bicchiere di vino e si sorprende di come la sera stia calando velocemente. È stanca, Adelaide, di questi vuoti a perdere continui. Si sente in gabbia, talvolta, una gabbia fatta di troppa libertà. E si pettina i capelli, mette dello smalto, legge mille libri e scrive, scrive senza freni: per lei è questo prendersi cura di sé. E lo ha capito, Adelaide, che quelle del manuale son tutte bugie, eh. Si veste in fretta, chiude la porta alle sue spalle, e "sì, sì.. è timido" borbotta tra sé.

Ma son tutte bugie, eh.