sabato 17 settembre 2016

Maritozzo alla panna (impiego di neuroni previsto 2)

"Ebbene sì, signori e signore, è successo".

Adelaide si sveglia nel pieno di un monologo teatrale: la donna, in evidente stato confusionale, descrive alla platea il suo nuovo sentimento, così entusiasmante, così caldo e così difficile da provare. Si sveglia proprio sul più bello, mentre le voci del pubblico pagante si interpellano sul finale. Fa pipì, Adelaide, è una di quelle urgenze della mattina assolutamente da soddisfare, prima che le sue mutandine non più per infanti (altro che, eh) rimpiangano il pannolino e le premure di sua madre. Prova una sensazione strana, simile a quella di un addio, e un po' si stupisce delle sue malinconie improvvise. Si stupisce di ricominciare a provare, nella maniera più pulita che conosca, emozioni così forti, così oneste, così meravigliosamente patetiche. Si stupisce di aver pensato che uno sguardo bastasse a stravolgere la sua vita. Si sorprende di aver dato baci così generosi, pensando "eccomi, sono tua. Eccoti, sei tutto quello di cui ho bisogno". E niente, fa colazione, yogurt e cereali, ricordando colazioni fatte di baci e premure. Ripensa al monologo teatrale e un po' si intimidisce: non ha potuto ascoltarne il finale. Lo avrebbe domandato, se davvero fosse stata in quella platea, con gli occhi bassi e quella timidezza che è necessaria in certe occasioni, avrebbe chiesto: "ei, signora dai capelli neri, come si resiste a certi occhi?", avrebbe detto "ei, signora un po' confusa, come si definisce quello che prova?". Ma Adelaide non è in quella platea, tutt'altro. Vede dalla sua finestra appena socchiusa scorci periferici di Roma, si tocca le labbra, pensa alle sue, e si stupisce, dio se si stupisce, di quello che prova. Immagina rotte da seguire e storie oltreoceano da raggiungere. Eh già, perché quegli occhi vivono solo dall'altra parte del mondo. E cosa sarà mai il mondo, quando per una vita, in tutto il mondo, non ha incrociato mai occhi vispi e belli come i suoi? Cosa sarà mai l'incertezza di un finale, quando di incertezze Adelaide vive? Si pettina i capelli, potrebbe farlo per ore, ed ascolta a tutto volume canzoni di altri tempi. È libera, Adelaide, e nello stesso tempo si sente sotto osservazione, come quella donna a teatro. Libera di sceglire di provare, per una volta almeno, un sentimento così pulito. In gabbia, talvolta, una gabbia che si chiama "distanza". All'imbrunire, Adelaide si addormenta sui ricordi. Si sveglia ancora una volta sul più bello, quando l'attrice confusa che così tanto le somiglia si interrompe e chiede: "Adelaide, come si resiste a certi occhi? Adelaide, come si definisce quello che prova?". Tocca a lei dirlo. Tocca a lei saperlo.

"Ebbene, signori e signore, è successo: in un angolo di Roma, in una notte di Settembre, il suo addio è stato il nostro inizio. (...) Di favole a lieto fine e un sentimento così bello che a raccontarlo, signori e signore, vale solo la metà".

E dorme Adelaide, aspettando il suo ritorno, in questa meravigliosa sorniona città.



(Va be', sogna poi parcogiochi e caramelle. Sogna i suoi sogni da bambina, liquirizia, palloncini, marmellate all'arancia e aquiloni. Poi sul più bello, quasi a sminuire tutto ciò che ha appena fatto e detto, ehm, sogna il suo amante, il suo amore di sempre, goloso e attraente. Brama, sogna, osanna,



il MARITOZZO ALLA PANNA.


E al risveglio, signore e signori, se lo magna).





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