venerdì 15 novembre 2013

Griffonia, mon amour (impiego di neuroni previsto: 1)

Che dire. La griffonia ha proprietà inimmaginate, un po' come ne ha lo sport, le docce calde in estate, il caffè appena svegli, le abbuffate di cioccolato. Per non parlare della vitamina B, che cerca in qualche modo di vedersela con il sistema nervoso. Povera. Diciamo che il sorriso in questi giorni regna sovrano, che sia per merito della vitamina, della griffonia, dell'inverno, dell'amore, delle stelle, chi lo sa. Ebbene, le stelle oggi annunciamo il meglio: pare che i problemi avranno facile risoluzione, il che mi fa riflettere sul fatto che allora ci saranno dei problemi, dunque ''il meglio'' non pare l'espressione più adatta. Le stelle, inoltre, confermano che c'è l'amore. E questo pure mi pareva di saperlo già prima di leggerlo, 'sto oroscopo, e di saperlo bene. Ed effettivamente è la collocazione ad essere sbagliata. Ecco, mi spiego meglio. La mattina Adelaide legge un quotidiano, sempre lo stesso, all'interno del quale, solo dopo millemila notizie, trova e legge l'oroscopo. All'ultima pagina. Inutile sottolineare che giunti lì ci si è svegliati già da un pezzo, e tutte le riflessioni esistenziali (tipo: che ne sarà della mia vita, morirò un giorno, cosa sto facendo, ingrasserò ancora, troverò mai un lavoro e blablabla) le si è fatte già da un pezzo. E il malumore ha preso piede già. Il consiglio è di inserirlo non in prima ma in seconda pagina, ecco, affinché tutti i mali del mondo, oltre quelli strettamente personali, siano quantomeno affrontabili. Perché l'oroscopo ha sempre un certo non so che di speranzoso, o di illusorio, ma va là.

(Alle brutte brutte brutte, griffonia in quantità).

martedì 23 aprile 2013

Che differenza vuoi che faccia (impiego di neuroni previsto: 2)

Scritto il 20.11.2012, e oggi riproposto, ché pure la carta straccia ha il suo prezzo e il suo valore.

Mercatino in piazza. Il banco lì all'angolo vende articoli per la casa a un euro, uno soltanto, che vuoi che sia. La signora del piano di sopra, in uno dei nostri tanti incontri in ascensore, mi dice di aver acquistato un apribottiglie proprio lì, che è durato il tempo di portarlo a casa e di stappare una sola bottiglia di vino. Il problema è che il seguito non lo ricorda, si è svegliata la mattina dopo ed ha trovato l'apribottiglie rotto, punto. Secondo me era ubriaca. E gliel'ho detto, eh, sommessamente, discretamente, col sorriso parafondelli che è tipico di chi no, non si permetterebbe maaai di insinuare nulla. Era ubriaca. Ed ero ubriaca io mille volte, e mille ancora, in quelle serate che non avevano senso alcuno, ritmate da una musica inascoltabile, e da gambe che son belle da guardare, sì, ma che non vorresti avere mai come compagne di viaggio. Poi ci son state le serate romane, quelle che pure ricordo a stento, ma che erano belle, dense di vita, di allegria, di voglia di vivere e cantare. A casa ti portavi l'odore di smog, che tanto, misto a quello di fumo di sigaretta, è solo un deodorante peggiore. E l'ebbrezza, quella vera, quella totale. Portavo a casa l'amore, o lì lo trovavo. E durava il tempo di una notte, o il tempo di anni e anni. Ma che differenza vuoi che faccia. 
A un euro anche le mollette per stendere i panni, che peraltro ho sempre trovato fastidiosissime. Sì, quell'incisione inguardabile che lasciano sui vestiti, ad esempio. Va be' che non ho mai stirato nulla, e non saranno certo le mollette a farmi cambiare idea. Però ad un euro si compra tutto, un euro soltanto, che vuoi che sia. E pure quelle mollette si rompono che è una bellezza. Ma tanto c'è il banchetto al mercatino dell'usato, quello lì, che le vende ad un euro soltanto. Si romperanno di nuovo, ed io le comprerò di nuovo, affetta da una patologia denominabile(?) recidività compulsiva. Si romperanno ancora, le acquisterò ancora. Che poi spendere il doppio o il triplo o cinque euro non è mica una garanzia, né per gli apribottiglie né per le mollette corredate di cestino. Si romperanno lo stesso, diverranno inservibili in più tempo, ma non saranno mai eterne. E' che la banalità del secolo è che il prezzo non è il valore delle cose, ecco. E sì che lo è, certo che lo è, come se lo è! E si faranno mille acquisti, e mille ancora, e ognuno di questi subirà un destino crudele. Ahhh, povere vecchie mollette! E i sogni, quelli pure costano, e i sorrisi, e le scommesse, i viaggi, le sorprese. Mai che ci sia uno sconto, su 'sta roba qui.

Ah! ...e l'amore, pure quello str**zo lì.

sabato 16 febbraio 2013

Ci sei (o ci fai?) - impiego di neuroni previsto 1,1 -

 
E sul tram non è che si fanno solo brutti incontri, eh. Tipo quello con l'alito da cammello, quello con le ascelle putride e ancora quello che non è che lo fa apposta, eh, ma ti palpeggia. Sul tram si vede la gente, viva, assonnata, frettolosa, in ritardo, in cravatta, in gonna corta, sorridente, incazzata nera. Senza parlare delle Donnatacco. Quelle sono il top: l'ultimo sedile che è il loro, il cambio della scarpa in tempi record, l'espressione di sollievo - accompagnata da un "ohh..!" peraltro -, fanno di loro un'attrattiva: come la torre di Pisa a Pisa, la Donnatacco sul tram. E poi non è che sul tram si fanno solo brutti pensieri, tipo che piuttosto che stare accanto al tizio con l'ascella radioattiva preferiresti il disequilibrio sul burrone più alto del mondo. La osservi, la gente - lo fai sempre, Adelaide, dalla finestra, di mattina, quando tutti sanno dove andare e tu ancora ti domandi SE andare -, e un po' ti ci rivedi. Negli occhi di quella donna anziana, al primo sedile, con la gonna nera a fiori beige, la busta della spesa sulle gambe e l'aria rassegnata di chi le battaglie le ha già tutte affrontate. Nelle treccine della bambina appena uscita da scuola, mano per mano al papà, a chiedere ancora una volta "papà, ma perché......?" - e il padre a sorriderle di quanto è buffa -. Nel ragazzo coi capelli a spazzola, quello col cellulare megaultraiperfunzionale, quello con le cuffie e l'aria da burlone. O nella donna in quarta fila: un libro in una mano, l'altra chiusa a pugno sulla faccia. Ti ci ritrovi.Alle otto del mattino, quando non c'è spazio che per l'aria, poca, e per gli sbadigli. E poi dal tram vedi la città: quell'enorme palcoscenico dei tempi moderni, col suo sipario di luci, il pubblico che è anche attore e gli applausi che son sordi, eppure ci sono. E allora se per percorrere duecento metri impieghi un quarto d'ora che fa. L'odore di smog confonde i respiri, quelli della scarsa igiene della gente fa quasi svenire, ma ci sei. Ci sei. E stai per svenire, sì, ma ci sei. Osservi e ci sei. Respiri, ci sei. Le persone come maschere della tua stessa farsa, la corsa del tram come quella della tua vita, Adelaide. Sapere dove stai andando senza sapere se è davvero ciò che vuoi. Vedere, in quell'attimo prima di scendere, la tua immagine riflessa sul finestrino e domandarti chi è, quella giovane donna che ti guarda. Scoprire, come un'epifania, che osservarti ti costa più fatica che mai. Perdere così tanto tempo a guardare l'altro, senza guardarti mai. E' che sei distratta, Adelaide, l'ho sempre detto. Sei distratta e perdi di vista i tuoi obiettivi, le tue mete, i tuoi traguardi. Ti perdi in riflessioni fuorvianti, ti butti e poi subito dopo ti estranei completamente dalla realtà.
 
Oh cacchio, dovevo scendere due fermate fa!
 
E che vuoi farci, Adelaide, se sei questa qua.

venerdì 11 gennaio 2013

Panna, la cura, la fine, o come dir si voglia (impiego di neuroni previsto: 2,5)

C'è un tipo, a poche centinaia di metri da casa mia, che fa il pasticciere. Ed è bravo, senza ombra di dubbio. La panna è il suo mestiere, le relazioni con il pubblico sono roba da dipendenti, i prezzi alti, l'ambiente niente di speciale. Lui ha la cura per ogni male. Lui, e lui solo e soltanto, sa porre rimedio al malessere. Non l'ho mai visto in volto, e non è questa la mia curiosità. Al contrario, son curiosa di sapere cosa pensi lui della sua panna: se la mangia, se lo annoia, se non è che un guadagno. Non so, mia madre è un talento del panettone, ad esempio: tutti lo vogliono, tutti lo chiedono, tutti ne mangiano in quantità industriali. Io no. Saranno vent'anni che non ne mangio un po'. E' lì, invitante e profumato, e resta lì. Se non avessi la possibilità di mangiarne un po', lo desidererei ardentemente. La questione è roba vecchia, vale a dire che una cosa desiderata è migliore di una avuta. Lo diceva Leopardi, parlando di un cavallo, che il desiderio è piacere quando è solo desiderio, e che l'avere è già una condizione diversa, priva di una qualche bellezza che è propria solo dell'ambìto. Ed io a quattordici anni su 'sta frase c'ho costruito castelli e cittadine intere, convincendomi a smorzare i desideri, a placarli, a indirizzarli verso il binario giusto: la consapevolezza. Della fine, innanzitutto. Della capacità di persuasione delle persone e/o delle situazioni. Del "è meglio aver paura che rischiare". Poi, inevitabilmente, ho sempre rischiato: punto tutto sul rosso, male che vada avrò desiderato la buona sorte. E a volte è arrivata, eh, attraente come una bella donna, ammaliante, carismatica. E' arrivata e se n'è andata, d'un tratto, come se nulla fosse stato mai. E allora a cosa serviva rischiare, giocare e ottenere, se quello che mi aspettava sarebbe stata comunque una disfatta, una privazione, un furto? Disillusa, Adelaide, fino a non provarci più. Però c'era la panna del mio caro pasticciere, c'era e c'è, a tirarmi su. Si sbagliano i tempi, nella maggior parte dei casi. Le persone. L'imporsi una conoscenza perché è ora che la si faccia. L'imporsi una non conoscenza perché non è proprio l'ora di farla. Sono stata desiderio per qualcuno, a volte ho desiderato fino a rinunciare: la teoria del piacere che si rivelava, proprio quando non hai la lucidità necessaria affinché si palesi anche alla ragione. No, non ne hai. Hai - costante e insistente - voglia di liquirizia, di cioccolato al latte, di fare un giro in macchina cantando la più sciocca delle canzoni, spegnendo i fari alla curva meno pericolosa, lampeggiando alle macchine come in una sorta di operazione peace and love. Hai voglia di far l'amore, di svegliarti nuda in un letto in cui ti senti bene, accanto a braccia che non siano di troppo, che tocchino le tue come fossero sempre desiderio e mai piacere. Voglia di vino buono, che riesca a raccontare e a farti raccontare di storie e sensazioni finora inespresse. Hai voglia di essere un sorriso, un profumo, poche parole e baci. Patetica come mai da un po' di tempo a questa parte, ma attenta e consapevole. Sarebbe coerente, nonché logico, dire che hai voglia di un'altra fine. Pur di vivere ciò che verrà, se verrà, quando verrà.

E poi hai voglia di panna, Adelaide, di' la verità.

GNAM!