martedì 10 novembre 2015

ilbimbino (impiego di neuroni previsto: 3)

Se c'è una cosa che Adelaide rimpiange dei suoi giorni da bambina è il momento in cui la sua mamma e il suo papà le facevano fare la doccia, sul finire del giorno. Le asciugavano la pelle al tepore del caminetto acceso. Le cospargevano il corpo di una polvere che lei credeva magica. Quando, poco dopo, si infilava sotto le coperte provava una sensazione di pulito che a raccontarla, ha sempre pensato, vale solo la metà. Era una di quelle emozioni che solo chi ha nostalgia dell'amore di una famiglia serena può capire. Come un'equazione che risulta perfettamente. Come la più dolce delle carezze e il più capiente degli abbracci.

Ci ho pensato oggi, mentre ero sull'autobus in direzione posto di lavoro. Un autobus sottovuoto, stracolmo di gente stressata e probabilmente per questo infelice. Un autobus dal quale sono scesa prima del dovuto, a causa dello spazio ristrettissimo concessomi. Tuttavia, ad un certo punto del viaggio, è salito sul mezzo un padre - 35 primavere ipotizzate- col suo bimbo di tre anni o poco meno tra le braccia, il quale, senza porsi nessun tipo di problema ha iniziato ad urlare "papààà! Mi voglio sedereee! Papààà! Mi voglio sedere! Papààà! Mi voglio sedere!". Mission impossible, bimbino, impossible. Ecco. Io ho pensato che quel bambino avesse ragione. E avrei voluto dirglielo: sì, bimbino, hai ragione. Ed urlare insieme a lui "papàdelbimbinoooooo! Mi voglio sedere!", e urlarlo sempre più forte, più forte e più forte. E sssì, cacchio, noi ci vogliamo sedere. La voce seriosa del padre spezza d'un tratto il sentimento di rivolta che io e ilbimbino proviamo: "e dove ti siedi appppapà? Non c'è posto." Ecco, ilbimbino, non c'è posto. Cavoletto, ilbimbino, non c'è posto. Mannaggia la paperella, ilbimbino, non c'è uno straccio di posto. Ed è così che sarà, ilbimbino, non ci sarà mai posto. Non ci sarà il treno nell'orario che speravi. Non ci sarà ogni giorno il sole, non ci saranno caramelle buone, non ci saranno sempre belle coincidenze, non ci sarà Natale con la neve, né le sorprese al tuo compleanno. Sai, a volte altro che posto a sedere, non passerà nemmeno l'autobus! Eppure, ilbimbino, io voglio urlarlo con te, io voglio partecipare a questa rivolta del martedì mattina in pieno centro, e riuscire ad immaginare taaaaaaanti posti a sedere. Posti a sedere per tutti.
Perché sarai grande, ilbimbino, ed avrai così tanto bisogno di conforto, a volte, da ritrovarti a rimpiangere il piacere di una doccia da bimbino. E tutto quello che conterà non sarà cosa non c'è o non c'è stato, ma esattamente tutto ciò che hai avuto.

Adelaide tira su le coperte e desidera più di ogni altra cosa la doccia, il caminetto e la polvere magica. Si addormenta proprio mentre urla a gran voce: papààà! Voglio la doccia! Papàà! Voglio il caminetto! Papààà! Voglio la polvere magica! E sa, dio, se lo sa, che tutto questo non tornerà.

venerdì 23 ottobre 2015

Bicchiere a metà (impiego di neuroni previsto: 6)

Il primo passo verso la guarigione è la consapevolezza: bene, peccato che io sia affetta da questa malattia e allo stesso tempo consapevole di esserlo praticamente da sempre. Dunque, sono ferma al primo passo da una vita.
Il secondo - dicono - è imparare a prendersi cura di sé.  Ammetto di non averlo sempre fatto e di aver spesso dato priorità alle eaigenze altrui, mordendomi la coda. Un circolo vizioso che non conosceva freno, e ruotava, ruotava, ruotava. Ma da qualche tempo - e lo affermo presa da un sentimento di gioia che è misto a taaaanta, tanta soddisfazione - io mi prendo cura di me: coltivo le mie passioni, mi do da fare per crearmi un futuro, sono a dieta, curo i miei capelli come mai prima di oggi - a tal proposito, Adelaide ci tiene a consigliare a tutto il mondo prodotti biologicissimi, ché la chimica è certo nemica della salute -.
Insomma, forse il secondo passo è compiuto.
Ed ecco il terzo passo - che mi sembra di gran lunga il più assurdo -: inizia a vedere il bicchiere mezzo pieno. A parte che Adelaide il bicchiere mezzo pieno se lo scola, mi sembra assurdo si possa porre la cosa come fosse una mera istruzione, da compiere affinché - sì, amici che ci seguite da casa - tutto si risolva magicamente. Ebbene, io il bicchiere mezzo pieno non l'ho mai visto e non credo riuscirò,  dall'oggi al domani, a farlo.
È per questo che il quarto passo non ho neanche voluto leggerlo. Io sono ferma al secondo.
La chiamano SINDROME DA ABBANDONO e cozza terribilmente col mio orgoglio femminilissimo. E già che la chiamino SINDROME, qualcosa mi puzza. Tuttavia l'ho ammesso, io, di essere malata. Riconducono la "malattia" ai più disparati avvenimenti vissuti da bambini, primo fra tutti la perdita di un genitore, che in qualche modo traumatizza la persona in modo quasi irreparabile e semina il terreno sul quale si costruirà la personalità del cosiddetto "soggetto". Da qui la paura di perdere qualunque cosa - persone, momenti, luoghi, oggetti - possa donare felicità.  Ecco, io ho perso mio padre all'età di quattordici anni, è vero. E certamente la sua perdita è stata quanto di più doloroso e straziante io abbia mai provato - un vuoto che non c'era e che ora c'è e ci sarà per sempre -. La terra è mancata sotto le suole, e c'è voluto tempo - ce ne vuole ancora - e c'è voluta tanta forza. E sì, ho pensato a lungo che la vita facesse schifo, ho pianto molto, ho conosciuto stati d'ansia che i miei coetanei, la maggioranza di loro, nob sapevano neanche cosa fossero. Ho perso tutto, all'improvviso, nel pieno del mio sorriso migliore. Ma questo non basta a spiegarmi questa fottutissima paura. E no, perché è vero che ho perso un padre, ma è altrettanto vero che ho avuto accanto - a combattere al mio fianco lo stesso dolore - persone che mai,mai ,mai mi lasceranno. La certezza che, ovunque io sia, loro ci saranno - tendermi la mano, chiedermi la mano -.
E allora no, mi dico, no. Non mi basta la pseudogiustificazione che "sì, poverina, ha perso il padre da ragazzina...". Zitti, ddiomio, zitti. Si vive, si ride, si guarda avanti. Si ha paura, anche, a volte. Ma si vive.
Dalla mia malattia ho imparato che non importa quante possibilità ci sono che una persona vada via da te. Quello che importa è essere preparati al momento in cui questo avverrà.  Purtroppo, spesso mi preparo troppo presto.
Mio padre è morto, ma è qui con me: nelle mie pagine, nei miei discorsi,  nei miei libri, nel mio cuore. Sono altre le persone che sono andate via senza lasciare traccia: amanti di ieri, amici rubati, sorrisi mancati. È questa la mia malattia. È di questo che ho paura: l'assenza,  sì, ma quella vera, quella totale, quella in cui io non conservo ricordo alcuno, quella del tempo sprecato.
Il primo passo verso la guarigione è la consapevolezza.


(Adelaide tace, per una volta almeno, e si sofferma ancora su un'unica frase: bicchiere a metà. Si dice che di tutte le bellezze la più bella sia la verità. E la verità di Adelaide non è che quel bicchiere a metà, niente proprio niente di più:

glùglùglù)








martedì 6 gennaio 2015

Cara Befana (epistole all'arancia) - impiego di neuroni previsto: 2 -

E allora stanotte arriverà la Befana, calandosi come ogni anno dalla canna fumaria, spazzando via la fuliggine, impolverando la vecchia cucina di cenere. E sulla sua scopa si reggerà, appendendo alla cappa una o più calze ricche di leccornie e carbone. Lo porterà - mi dico -, ne porterà di carbone. Io sarò nella mia camera color arancione, a sognare di palloncini e leccalecca all'arancia, sotto un piumone caldo - e dello stesso colore - a (ri)posare i pensieri sul cuscino a pois.
E allora quest'anno - come ogni anno, mi dico - è arrivato un nuovo anno, senza passare dalla canna fumaria né dalla porta, ché il tempo, si sa, è maleducato. E' entrato, da questa o quell'altra finestra, ed ha già cambiato il calendario. Appeso alla parete come un quadro immutabile, eppure mutato. Io alla Befana non ho mai scritto lettere, ché quelle, da che mondo è mondo, son per Babbo Natale. Potere alle donne! penso tra me e me e, impugnando una penna porpora, scrivo:

[momento patetico = ON]

Cara Befana,
non ti ho mai scritto lettere e non credo te ne scriverò mai più un'altra. Ma, cara Befana, quest'anno mi affido a te, ché quel Babbo Natale è tanto buono a chiudere l'anno ma non pensa mai al venturo. E il venturo è di certo quello che mi preoccupa di più. Quando entrerai dentro questa casa - che è la mia casa d'infanzia, dove ancora vive la mia bella mammina - sta attenta alla cenere, se vuoi riposa sul divano, togli le scarpe, stenditi e goditi il silenzio. Non appendere calze, a meno che dentro non ci sia un po' di pace e di serenità. Qui, di leccornie, son piene le dispense. E pure di amore, ce n'è in eccedenza. Ma la pace, la vera pace, un po' manca. Cara Befana, quando volerai su questo tetto, getta una stella sulla mia casa, fai che illumini i giorni a venire, fai che ci guidi, fai che ci protegga.

[momento patetico = OFF]

Accanto al camino, guardando in direzione della porta d'entrata, il fuoco si riflette sul marmo. Sono effetti speciali di questa notte incantata e mostruosa, esattamente com'è stato l'anno passato. Accanto all'anno passato, in direzione del futuro, l'anno venturo si riflette sul calendario. Sarà facile, Befana, gettare la polverina magica sui giorni! E allora quest'anno, come ogni anno, ti calerai dalla canna fumaria senza far rumore - ed io emozionata sognerò di parcogiochi e caramelle -, e come ogni anno tu te ne andrai, e come ogni anno poi ritornerai. Perché tu, almeno tu, di quell'infanzia fatta di meraviglia e stupore, torni.

P.S. Tante volte ti sfuggisse un leccalecca all'arancia, mentre spargi polverina magica qui, non preoccuparti, ci penso mì.