venerdì 11 gennaio 2013

Panna, la cura, la fine, o come dir si voglia (impiego di neuroni previsto: 2,5)

C'è un tipo, a poche centinaia di metri da casa mia, che fa il pasticciere. Ed è bravo, senza ombra di dubbio. La panna è il suo mestiere, le relazioni con il pubblico sono roba da dipendenti, i prezzi alti, l'ambiente niente di speciale. Lui ha la cura per ogni male. Lui, e lui solo e soltanto, sa porre rimedio al malessere. Non l'ho mai visto in volto, e non è questa la mia curiosità. Al contrario, son curiosa di sapere cosa pensi lui della sua panna: se la mangia, se lo annoia, se non è che un guadagno. Non so, mia madre è un talento del panettone, ad esempio: tutti lo vogliono, tutti lo chiedono, tutti ne mangiano in quantità industriali. Io no. Saranno vent'anni che non ne mangio un po'. E' lì, invitante e profumato, e resta lì. Se non avessi la possibilità di mangiarne un po', lo desidererei ardentemente. La questione è roba vecchia, vale a dire che una cosa desiderata è migliore di una avuta. Lo diceva Leopardi, parlando di un cavallo, che il desiderio è piacere quando è solo desiderio, e che l'avere è già una condizione diversa, priva di una qualche bellezza che è propria solo dell'ambìto. Ed io a quattordici anni su 'sta frase c'ho costruito castelli e cittadine intere, convincendomi a smorzare i desideri, a placarli, a indirizzarli verso il binario giusto: la consapevolezza. Della fine, innanzitutto. Della capacità di persuasione delle persone e/o delle situazioni. Del "è meglio aver paura che rischiare". Poi, inevitabilmente, ho sempre rischiato: punto tutto sul rosso, male che vada avrò desiderato la buona sorte. E a volte è arrivata, eh, attraente come una bella donna, ammaliante, carismatica. E' arrivata e se n'è andata, d'un tratto, come se nulla fosse stato mai. E allora a cosa serviva rischiare, giocare e ottenere, se quello che mi aspettava sarebbe stata comunque una disfatta, una privazione, un furto? Disillusa, Adelaide, fino a non provarci più. Però c'era la panna del mio caro pasticciere, c'era e c'è, a tirarmi su. Si sbagliano i tempi, nella maggior parte dei casi. Le persone. L'imporsi una conoscenza perché è ora che la si faccia. L'imporsi una non conoscenza perché non è proprio l'ora di farla. Sono stata desiderio per qualcuno, a volte ho desiderato fino a rinunciare: la teoria del piacere che si rivelava, proprio quando non hai la lucidità necessaria affinché si palesi anche alla ragione. No, non ne hai. Hai - costante e insistente - voglia di liquirizia, di cioccolato al latte, di fare un giro in macchina cantando la più sciocca delle canzoni, spegnendo i fari alla curva meno pericolosa, lampeggiando alle macchine come in una sorta di operazione peace and love. Hai voglia di far l'amore, di svegliarti nuda in un letto in cui ti senti bene, accanto a braccia che non siano di troppo, che tocchino le tue come fossero sempre desiderio e mai piacere. Voglia di vino buono, che riesca a raccontare e a farti raccontare di storie e sensazioni finora inespresse. Hai voglia di essere un sorriso, un profumo, poche parole e baci. Patetica come mai da un po' di tempo a questa parte, ma attenta e consapevole. Sarebbe coerente, nonché logico, dire che hai voglia di un'altra fine. Pur di vivere ciò che verrà, se verrà, quando verrà.

E poi hai voglia di panna, Adelaide, di' la verità.

GNAM!

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