giovedì 29 novembre 2012

OPS - le noie (impiego di neuroni previsto: 2,5)

Mi si perdonerà lo sproloquio, per nulla interessante e un po' noioso, ma ce l'avevo qui:

Poi mi pare di intuire che siamo un ammasso di deficienti. Giornalmente, eh, mica è un'illuminazione del momento. Mi siedo in un bar con l'amica di sempre -intelligente, carismatica, adorabile, una dei pochi esseri umani che non si può definire deficiente-, si siede accanto a noi un tale, L., trentadue-trentatré anni, proprietario del locale. Prima di sedersi con noi, parla. Cioè, mi spiego meglio: c'è una particolare applicazione per cellulari e/o simili immagino, che ti parla. Tu fai una domanda, o un'affermazione e una voce risponde. Ovvio che l'idea più gettonata sia quella di insultarla. Ovvio. Ed è ovvio -per una come me che ha un rapporto di dipendenza assoluta con la tecnologia ma che prova un amore più forte per lo scambio di idee ragionato, sensato o no, ma che ti faccia capire qualcosa di più, anche solo che siamo un ammasso di deficienti- che da un momento all'altro io mi aspettassi un cazzotto, uno schiaffo, un calcio in mezzo a, da parte della signorina che, al contrario, rispondeva: credo di non aver capito. Il database è scarso, o ricchissimo, ad ogni modo la parola tr*ia non aveva per lei alcun significato. Ho immaginato un bambino, di sei o sette anni che per caso sente una parola sconosciuta -un mondo nuovo, milioni di significati racchiusi in una intonazione e pochi grafemi- e si affretta a chiedere alla mamma "ma cosa significa?" Si informerà, assimilerà la parola e si troverà molti anni dopo a spiegarne il significato ad un altro bambino. La vocina nel telefono, si aggiorna. Cioè, quell'entità che pare avere pure un cervello, ma stupido, può, da un giorno all'altro, grazie ad un tuo particolare comando, imparare nuove cose. E allora immagino che, nel 2135, avrà imparato molto. E forse avranno trovato il modo di renderla visibile, la donnavoce. E, forse, qualcuno la farà entrare in casa, scambiando con lei convenevoli, come stai?, è brutto il tempo, eh?, per poi passare a "ma quanto sei bella, sembra ti abbiano disegnata" e "vorrei baciarti". Non so se la tecnologia sarà giunta a tanto, ma può darsi che facciano l'amore. E il giorno dopo chissà, forse non si sentiranno neanche più, come accade il più delle volte quando alla base di una conoscenza vi sono soltanto un ammasso di stupidi convenevoli. Va be', accade anche quando alla base c'è una conoscenza secolare, ma transeat. Non so, mi pare come se vi fosse un meccanismo inconscio, nelle menti umane, un meccanismo che fa sì che ci piaccia, al di fuori di ogni ragione plausibile, interagire con qualcuno che sia più stupido di noi, che non abbia gli stessi fili elettrici nel cervello, che non sappia articolare un discorso, renderlo efficace, denso di significato. Mi pare come si voglia, in un modo o nell'altro, dimostrare a sé stessi la propria superiorità. Oppure - e l'alternativa certamente non dà sollievo- si tratta di un tentativo di non sentirsi soli (immagino una donna ubriaca, sul finire della sua vita, sola su un divano a guardare un film con l'uomovoce). E se anche si trattasse soltanto di un modo diverso per ridere, divertirsi, cazzeggiare, mi deprime l'idea che ci serva questo. Ma una sana scivolata, un sederata per terra, di quelle che fanno il rimbombo, o una gaffe nel mezzo di un avvenimento importante, o, meglio ancora, una freddura acuta e intelligente, nel mezzo di un discorso semiserio? Questo è quello che a me fa ridere. Questo è quello che mi piace degli umani. Le loro debolezze, il loro continuo credersi altro da sé, l'ironia, quella sottile, quella che è perspicace e mai adeguata. Mi piace, poi, più che i bambini, la loro espressione - quel leggero inarcarsi delle sopracciglia, gli occhi rivolti in alto, la bocca un pochino aperta - mentre ti domandano "ma cos'è?" "cosa significa?" "ma perché?". C'è un universo, celato dietro quel momento. C'è il ricordo che quella spiegazione diventerà, c'è l'immaginazione attraverso la quale il bimbo afferrerà il concetto, c'è il processo attraverso cui quel concetto prenderà forma e suono. Mi fa paura l'idea che, per conoscere il perché di una cosa, quello stesso bambino non farà altro che digitare due lettere (son sempre due, ché la cronologia è un'assassina dell'intuizione, del fare, dell'immaginare, del ricercare) su di una tastiera. Che guarderà alle enciclopedie (sacre, sacre, sacre) come un reperto storico. L'odore della carta un odore mai registrato.

E che un giorno, forse, si troverà in un letto con la donnavoce fatta carne, a fare discorsi di un livello mai visto:
- sei bella -
-grazie-
-fa caldo-
-è estate-
-mi baci-
-ok-
-che fai nella vita-
-versione 4.3.1 di un database parlante, da poco scopo pure, eh-

OPS.

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